L’Autore, di fronte alla drammatica scena di una Giustizia italiana ormai in coma, prova a dare un contributo per una terapia innanzitutto di rianimazione alla luce della sua esperienza ormai cinquantennale, dal giugno 1972 ad oggi, nei Palazzi di Giustizia con la toga di magistrato fino al 1994 e poi con quella di avvocato. La terapia fornisce sia indicazioni di applicazione immediata ed a costo zero, sia altre di incisività a medio o a più lungo termine riguardanti la riorganizzazione e la direzione degli uffici giudiziari e la cultura professionale dei magistrati, senza trascurare la necessità di un atteggiamento mentale del Legislatore italiano che finora ha evidenziato, come provocatoriamente l’Autore sottolinea, una vera propria “vocazione al crimine”. Né manca una visione più generale sulla cosiddetta “immoralità” del giudice, ovvero della giustizia umana, immoralità però riscattabile se il giudice se ne fa carico con assoluta umiltà e dedizione. Il saggio volutamente breve e provocatorio si alleggerisce e si umanizza, dando anche respiro al Lettore, con alcuni significativi aneddoti vissuti dall’Autore nella sua cinquantennale esperienza giudiziaria.
Carlo Correra, laureato in Giurisprudenza nel 1969, entra in Magistratura il 16 giugno 1972 ed ha come prima destinazione la Pretura penale di Torino, dove dal 1973 al 1979 è addetto alla Sezione dei “Reati Alimentari” e si specializza in “Legislazione degli Alimenti”. Alla Pretura di Salerno arriva nel 1979 e qui chiude la sua esperienza in Magistratura.